Naja

Il mio contributo alla Patria: ricordi di Naja

Qualche giorno fa, rovistando in un cassetto, ritrovai un album di vecchie foto di quando ero giovane. Fra queste qualcuna mi ricordava il militare. E così, come faccio di solito lasciai andare la mia mente a quel periodo. Era il 24 maggio 1973 quando, dopo essere stato classificato abile alla mitica Caserma Martini, partii per il servizio di leva, destinazione Monguelfo, un piccolo paesino in mezzo alle montagne dimenticato da Dio e dagli uomini in provincia di Bolzano. Mi ero informato su quella caserma e mi era stata descritta come una “caserma punitiva” dove l’”alpino” veniva messo a dura prova. Il mio primo pensiero fu: «andemo ben… se el bongiorno el se vede dal mattino….». Non avevo nessuna voglia di fare il militare tanto meno l’alpino sperduto in mezzo alle Dolomiti (amante del mare come ero io…) e soprattutto perché dovevo lasciare “incustodita” la mia ragazza che da qualche anno avevo conosciuto e che probabilmente poteva far gola a qualcuno, comunque quando la Patria chiama, bisogna andare. La caserma era proprio come me l’avevano descritta un enorme cortile con tanti porticati attorno, con sopra le camerate. Non era passata ancora una settimana che una notte venni svegliato di soprassalto da un chiasso infernale di gente che urlava e imprecava erano i cosi detti “nonni” che tornavano dal campo estivo imbufaliti per tutto quello che avevano dovuto sopportare in quei “sporchi” 15 giorni. Io pensai: «adesso questi i ne sbranda tuti e dopo i ne magna…», mi tirai la coperta fino sopra la testa con la speranza che non mi notasse nessuno, e così fu, forse molto stanchi dopo qualche ora si calmarono e si misero a dormire. Passarono i giorni, le settimane e io purtroppo (o per fortuna) presi una forte sinusite (d’altra parte uno che la montagna non la sopporta…) febbre alta, mal di testa, ronzio alle orecchie ecc… tenni duro fino al giuramento dopodiché fui ricoverato all’ospedale militare di Verona per cure e li cominciò la vera Naja! Grazie ad una piccola suora dell’otorinolaringoiatria a cui ero entrato nelle “grazie” fui aggregato al reparto come aiuto infermiere e da lì iniziò la mia vita da “imboscato”. Ma chi se ne fregava! L’importante era arrivare alle 14, a fine servizio ed avere la libera uscita tutti i giorni, la Mini Minor a disposizione, soldi in tasca, la ragazza che ti aspettava a casa… Insomma un periodo da vivere alla grande e, anche se io non lo sapevo, un periodo che avrebbe condizionato la mia esistenza amorosa. Infatti il 15 agosto fine di un amore che durava da 5 anni, 18 novembre inizio di una storia che dura tutt’ora. Passai veramente dei bei mesi fino a quando un giorno la suora che era delle nostre parti, mi chiamò e mi disse: «Claudio è rivà un fonogramma dove i ne dise dove te si e se non te ancora finio le cure e de mandarte quanto prima de olta (d’altra parte erano passati sei mesi) me dispiase parchè te si un brao fiol, ma dovemo mandarte al corpo». E così fu, a febbraio mi rispedirono non più a Monguelfo ma a Brunico in attesa di trasferimento. Fu un brutto momento, il mio primo pensiero fu: «voto veda che par colpa de sta Naja de…. adeso perdo anca sta morosa…», per fortuna non fu così. Due mesi dopo mi ritrovai a Bolzano (bellissima città) in un ufficio a fare variazioni su dei registri. Orario di lavoro 9-14 poi libera uscita fino alle 23. Mi ricordo che eravamo comandati da un capitano “imbranato” che sfogava sulla truppa le sue frustrazioni d’inferiorità dopo magari aver ricevuto un bel “cacchiattone” da un giovanissimo maggiore di firma. Un giorno, dopo il solito “cacchiattone” ricevuto, per sfogarsi, ci portò in marcia, non vi dico la voglia che c’era nella truppa… Ci incamminammo per un sentiero su per un monte dietro la caserma, faceva caldo (erano i primi di giugno) e nessuno di noi aveva voglia di fare quella “marcia forzata” e cominciammo ad imprecare, a lamentarci, a rompere i ranghi (per non dire altro), tanto sapevamo che alla lunga l’avremo avuta vinta. E così fu, esausto da questo nostro comportamento, il capitano ci fece sostare in un chiosco che era lungo il percorso e lì mangiammo, bevemmo e ci divertimmo un mondo…insomma la marcia si era trasformata in una “bella scampagnata”. Quando fummo sazi e mezzi brilli ritornammo in caserma. Questa fu la mia prima e ultima marcia che feci sotto Naja. Il 24 luglio 1974 mi congedai e ritornai a casa. Il mio contributo alla Patria lo avevo “onorevolmente” assolto!

Claudio Bertolini

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  1. Federico Torre Reply

    I miei ricordi della Leva? Pessimi!!! Car a Viterbo poi 11 mesi all’areoporto di Pratica di mare (vicino Pomezia), 11 mesi a fare caffè e cappuccini al bar del circolo sottufficiali! Un anno della mia vita completamente buttato nel cesso!! Menomale che l’hanno abolita questa stronzata del Servizio di leva obbligatorio!!! MENOMALE !!!!!!

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